In principio era la radio, unica depositaria dell’importante missione di diffondere e promuovere nuova musica. Già, la radio. Così democratica nelle possibilità di fruizione ma altrettanto autocratica nella selezione musicale, a tal punto da custodire per decenni lo scettro della notorietà e del successo di brani e artisti.
Vi siete mai fermati a pensare che tutta, ma proprio tutta la musica che avete da sempre ascoltato in radio è stata il frutto di una selezione che altri hanno scelto per voi?
Un conduttore/DJ con una buona cultura musicale sceglie(va) la musica più adatta per la propria trasmissione, selezionando una goccia di musica nell’oceano della totalità delle produzioni musicali.
Un tempo la scoperta di nuova musica passava necessariamente
attraverso le onde a modulazione di frequenza. Poi passano gli anni, evolve la
tecnologia, nascono nuove modalità di fruizione e consumo musicale.
La musica oggi si trasmette anche via Internet, arrivano i servizi on demand, il pubblico matura maggiore consapevolezza delle proprie scelte di consumo mediale, la conoscenza dei gusti dell’utente acquisisce un valore fondamentale nell’architettura degli ambienti mediali digitali, l’algoritmo acquisisce una centralità determinante nella proposta di nuovi contenuti da dare in pasto agli utenti.
Spotify ti dice qualcosa?
La piattaforma per lo streaming audio oggi vanta oltre 320 milioni di utenti attivi, di cui 144 milioni utenti Premium.
Spotify si differenzia dalla concorrenza per la sua natura ibrida: da un lato infatti si distingue per un ricorso “spiccato” ad algoritmi di raccomandazioni verso l’utente, dall’altro si avvale comunque di un team editoriale di esperti dediti alla creazione di playlist.
Qual è l’obiettivo del ricorso al sistema di Intelligenza Artificiale di Spotify? Semplice. Farci usare per il maggior tempo possibile la piattaforma.
Come? Individuando proprio quello che vorremmo ascoltare, in qualsiasi momento dell’anno, a qualsiasi ora della singola giornata, tra circa 60 milioni di brani registrati e 2 milioni di podcast disponibili.
L’algoritmo di Spotify che sceglie per noi
Si chiama BaRT, non è giallo e non è un personaggio dei Simpson.
BaRT è un acronimo che sta per “Bandits for Recommendations as Treatments” ed è il frutto del prezioso lavoro della start up Echo Nest, acquisita nel 2014.
Il suo operato è tangibile soprattutto nella creazione dell’home page di Spotify, che cambia da utente ad utente. Ad ogni accesso al sistema, l’algoritmo genera diverse playlist create ad hoc sui gusti del singolo utente, per stimolare la sua curiosità.
La logica è molto semplice: più ascolti e più accurati
saranno i suggerimenti che Spotify ti proporrà nelle sue playlist. Analizziamo
meglio le playlist algoritmiche di Spotify:
DailyMix: fino a 6 mix basati sulle preferenze di
generi musicali espresse dall’utente. Include canzoni già ascoltate e qualche
suggerimento. Più si ascolta musica e più vengono aggiornate frequentemente.
Release Radar: una playlist algoritmica realizzata
ogni venerdì con le nuove uscite musicali, in linea con i gusti dell’utente
Discover Weekly: la play list del lunedì. Include
brani “old” potenzialmente interessanti per l’ascoltatore
On Repeat e Repeat Rewind: una lista dei brani più
ascoltati dall’utente, aggiornata ogni 5 giorni
Daily Podcast: una proposta di Spotify all’utente che
potrebbe apprezzare questo genere
Tutto qui? No. La mano invisibile dell’algoritmo agisce
anche in coda a un brano o a un album scelto dall’utente, quando in autoplay
parte una canzone che ti propone il sistema.
Come fa l’algoritmo a riconoscere la tipologia di musica
che piace all’utente?
Il sistema utilizza fondamentalmente tre parametri:
Natural Language Processing: corrisponde ad una sorta
di analisi che il sistema compie verso tutte le informazioni “primarie”
associate a un brano. Testi, linguaggio e metadati (informazioni di ogni brano
inserite nel sistema dalle case discografiche o dall’artista stesso)
rappresentano l’oggetto dell’elaborazione compiuta da Spotify.
Raw Audio Analyzation: è un’analisi relativa alla
musica in senso stretto. Serve ad individuare il tempo, la tipologia di suono,
il “mood” del brano (strumentale, parlato, upbeat, ecc.)
Collaborative Filtering: parola chiave “previsione”.
Il sistema utilizza una tecnica di previsione per definire i gusti dell’utente sulla
base dei pattern di ascolto storici e quelli di utenti simili. Per
semplificare, la logica è quella per cui se due persone ascoltano uno stesso
gruppo di canzoni, probabilmente hanno gusti simili. Dunque, un artista che
piace ad uno dei due, ma non è stato ancora scoperto dall’altro, potrebbe
essere un buon suggerimento.
Cosa “nutre” l’algoritmo di Spotify?
Gli algoritmi alla base della logica di funzionamento di
molti ambienti (Facebook, Twitter, Instagram, Linkedin, etc. etc.) hanno tutti
bisogno di segnali per imparare a capire i gusti dell’utente.
In ambienti come Facebook o Instagram, ad esempio, banali
azioni come un “like” o un “cuoricino” che l’utente compie verso un contenuto,
per il sistema rappresentano l’espressione di un giudizio di valore positivo.
In altre parole, l’algoritmo impara a conoscere le preferenze di gusto
dell’utente e le utilizza per proporgli contenuti in linea con i suoi
interessi.
La stessa logica è alla base del funzionamento
dell’algoritmo di Spotify.
I parametri utilizzati da Spotify per imparare a conoscere i
gusti musicali dell’utente sono molteplici:
- canzoni più ascoltate
- generi preferiti
- ritmi graditi
- interazioni col brano (like, aggiunta a
playlist, condivisione)
- artisti seguiti
- playlist più apprezzate
- lingue ascoltate
- durata (i brani ascoltati per meno di 30 secondi
vengono interpretati come un segnale di disinteresse)
- gli outlier, ossia i valori anomali, vengono
individuati e scartati (ad esempio, le canzoni per bambini ascoltate da un
figlio dall’account del padre).
L’algoritmo assolve quindi a due funzioni principali:
accontentare i gusti dell’utente, sulla base di serie storiche che valutano ciò
che gli è piaciuto in passato; e intercettare e proporre novità mai ascoltate
dall’utente.
Siamo dunque “vittime” inconsapevoli di un algoritmo che decide per noi?
Tra le posizioni estreme di apocalittici e integrati, a noi
piace stare nel mezzo. La proposta di nuova musica di Spotify sicuramente è
decisa da BaRT, ma l’algoritmo ha comunque bisogno di noi per imparare a conoscerci
e a proporci musica sempre più in linea con i nostri gusti.
Con l’avvento e la diffusione di Internet e di ambienti come
Spotify, l’industria discografica ha totalmente riscritto le logiche di
promozione musicale. L’artista moderno ha sicuramente bisogno di essere
supportato a livello strategico da esperti di settore che lo guidano nelle
scelte promozionali, ma non è più dipendente esclusivamente dalle volontà delle
case discografiche, troppo spesso impegnate ad assecondare logiche di business
spietate, a discapito della pura creatività artistica.